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Oriundi e Nazionale: Perché Retegui?

di Simone La Marca

Al termine della 27 ª giornata di Serie A andremo incontro alla pausa nazionali, la prima dopo il Mondiale tragicamente mancato dalla nostra rappresentativa. I ragazzi di Mancini affrontano subito l’avversario più ostico sulla strada di Euro 2024, l’Inghilterra di Southgate, delusa dalla spedizione del Qatar e recentemente sconfitta nella gara di Nations League di Settembre. I nostri si trovano all’inizio di un nuovo ciclo, un rinnovamento radicale della rosa che vede il Mister delle notti magiche armato di piccone e pennello, motto: buttare giù tutto ciò che può rappresentare il fallimento passato e dipingere un’idea con prospettive a lungo termine. L’obiettivo dichiarato dal Mancio è il tetto del mondo nel 2026. In quest’ottica trovano perfettamente senso le convocazioni e le formazioni scese in campo negli scorsi mesi, rose che hanno visto protagonisti giocatori sicuramente non canonici all’organico classico della Nazionale e che hanno sollevato parecchie perplessità soprattutto tra i tifosi. Parliamo di Simone Pafundi ad esempio, centrocampista 2006 dell’Udinese, con appena 12 minuti d’impiego nel campionato 2022-2023 ma fatto esordire nell’amichevole con l’Albania o di Federico Gatti oggi riserva della Juventus ma fatto esordire da giocatore del Frosinone con zero minuti in carriera in Serie A.

Esordi atipici, provocatori, mirati a scuotere le coscienze delle aree tecniche dei club del nostro massimo campionato invitandole ad impiegare maggiormente i nostri giovani. Esordi sicuramente discutibili in quanto, probabilmente, altri giocatori avrebbero meritato questa occasione prima di quelli presi ad esempio e di altri come loro. Ma se su questa branca della filosofia Manciniana è possibile cogliere elementi di positività, è difficile farlo con un altro trend: l’impiego ingiustificato di oriundi che non hanno niente a che vedere con l’Italia o l’italianità. Ad oggi sono sei gli oriundi convocati dalla nomina di Mancini a commissario tecnico: Toloi, Emerson, Jorginho, Luiz Felipe, Joao Pedro e l’ultimo arrivato Retegui. I primi tre sono entrati nei cuori di tutti dopo l’europeo, sugli ultimi molte più ombre che luci, in attesa delle prestazioni dell’attaccante del Tigre. Il ragionamento sugli oriundi, almeno non su tutti, prescinde assolutamente dal valore sportivo degli atleti, che non si discute, è più da incentrarsi sull’immagine della Nazionale, su ciò che rappresenta, su ciò che dovrebbe rappresentare, su cosa vuol dire “essere italiano”.

“L’italianità” è un concetto quantomai messo in discussione negli ultimi tempi, nello sport assistiamo al proliferare delle teorie più fantasiose sull’identità nazionale favorite dal cieco opportunismo del convocare un giocatore valido. Pensiamo a Joao Pedro, italianizzato in quattro e quattr’otto nel 2022 per convocarlo nella disastrosa gara contro la Macedonia del Nord. Giocatore nato e cresciuto in Brasile, di famiglia brasiliana, veste la maglia della nostra nazionale grazie ai 10 anni vissuti sul nostro territorio. Le dinamiche di attribuzione del passaporto non possono valere anche per vestire la maglia della Nazionale. Sembra un paradosso ma, se ci si pensa, le norme dello Ius sanguinis e del cambio di passaporto risultano efficienti e valide nella vita di tutti i giorni ma inadeguate per la partecipazione a quella che dovrebbe essere la rappresentanza del popolo italiano e dell’identità del popolo italiano su un campo da gioco. Un giocatore che: parla poco o male la nostra lingua, ha altre tradizioni, vive la propria vita con un’identità differente rivolgendo più o pari affetto alla madrepatria rispetto all’Italia, non può essere un nostro Rappresentante. L’ultimo caso, quello di Mateo Retegui, rappresenta l’assurdità del meccanismo di convocazione degli oriundi. Giocatore argentino, di lingua spagnola, cresciuto in Argentina, mai messo piede in Italia, vestirà la maglia della nostra Nazionale in virtù dello Ius Sanguinis e del nonno materno nato a Canicattì (AG). Tecnicamente indiscutibile ma era proprio necessario convocare qualcuno che con l’Italia non ha niente a che vedere? Sarà bello esultare ai suoi gol, come lo è per tutti i gol della nazionale, ma a che prezzo?

Abbiamo venduto l’anima per un bieco risultatismo e per un po’ di arroganza del nostro CT, che, pur di dare una lezione agli allenatori nostrani pesca all’estero.

La Nazionale deve rialzarsi, deve vincere, ma non può permettersi di perdere lo status di ambasciatrice della nostra identità, è uno dei pochissimi totem che ci sono rimasti nell’epoca della globalizzazione. Mister Mancini, ma s’immagina a fare una riunione tecnica in spagnolo o in inglese nelle sale di Coverciano? Non percepisce il paradosso? Diciamolo chiaramente poi, senza ipocrisie, gli oriundi non sono tutti uguali. Giuseppe Rossi, nato e cresciuto negli States è italianissimo, così come Christian ‘Bobo’ Vieri nato in Italia ma cresciuto in Australia. Si fa molta difficoltà a definirli “oriundi”, nessuno lo fa, per quanto ne abbiano tutte le caratteristiche. Sono oriundi per caso, figli d’Italia cresciuti all’estero, emigrati di seconda generazione che hanno conservato perfettamente lingua e caratteristiche della loro madrepatria. Questo tipo di oriundi hanno tutte le carte in regola per vestire la maglia della Nazionale, sono molto più italiani che stranieri, ci si riconosce in loro senza alcun problema. Meglio 100 partite soffrendo e costruendo con Brunori o Mulattieri centravanti che una vittoria dell’Ital-Argentina, almeno concettualmente parlando. La nazionale non è un club, è un concetto diverso, è altro, dovrebbe essere la selezione dei migliori tra i nostri ragazzi, certi artifici snaturano lo scopo della rappresentativa. Non è ammissibile fare la fine della Francia, al top per prestazioni ma un meme ambulante per identità.


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