di Giovanni D'Agostino
136 anni fa, il 19 agosto 1887, nasceva in Pausola (oggi Corridonia), Marche, Filippo Corridoni. Rivoluzionario, eroe, sindacalista, soldato, patriota, sono solo alcuni dei molti aggettivi che si potrebbero usare per descrivere una figura oggi rivendicata sia dalla destra che dalla sinistra, ma che in realtà dovrebbe essere simbolo di coesione nazionale, a prescindere dal colore politico.
Corridoni spese la sua vita nel combattere le ingiustizie sociali, affiancandosi sempre agli ultimi ed esaltando l’eroismo in contrapposizione ai “falsi miti della democrazia borghese”. A causa del suo ruolo d’agitatore, fu spesso costretto a riparare all’estero per evitare la cattura, tuttavia ciò non gli risparmio più di 30 esperienze da galeotto nel corso della sua breve ma intensa vita.
Divenne segretario della sezione giovanile del Partito Socialista Italiano nel 1905, fondò il giornale “Rompete le Righe” e da lì si avvicinò sempre di più al pensiero sindacalista rivoluzionario e antimilitarista, che lo porterà a criticare l’avventura coloniale in Libia nel 1911 anche attraverso una sua opera: “Le rovine del neoimperialismo italico”. Corridoni sottolinea la sua avversità al conflitto non tanto per motivi ideologici, ma più che altro per la sua inutilità da un punto di vista economico e sociale (ipotesi rivelatasi poi fondata).
Inizialmente neutralista nel 1914 , si arruolò nel 1915 nell’esercito italiano per partecipare ad una guerra che aveva diviso gli aderenti alla sua ideologia. Da una parte c’erano i sindacalisti internazionalisti, coloro che pensavano che la guerra avrebbe arricchito la borghesia e gli industriali, di conseguenza scoraggiando la tanta agognata rivoluzione. Dall’altra i sindacalisti nazionali (o nazional sindacalisti) che presero atto che i cosiddetti “proletari europei” credevano prima nella propria Patria, poi nell’internazionalismo. Corridoni pensò che la sconfitta delle potenze retrive, reazionarie (rappresentate dagli imperi centrali), avrebbe dato nuove opportunità al rivoluzionarismo. Sfruttò le sue doti da agitatore per mobilitare le masse a favore della causa interventista, collaborò con numerosi giornali tra cui “Il Popolo d’Italia” e partecipò alle “radiose giornate di maggio” pronunciando discorsi e tenendo manifestazioni.
La sua dedizione alla patria, il suo coraggio, il suo eroismo, lo portarono ad una morte altrettanto eroica, avvenuta nei pressi di San Martino del Carso il 23 ottobre 1915, appena 3 mesi dopo essere partito volontario per il fronte.
Colpito alla fronte nel tentativo di chiamare i compagni in armi all’assalto, si avverò così la sua previsione, o per meglio dire il suo giuramento: “Morirò in una buca, contro una roccia, o nella corsa di un assalto, ma se potrò, cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora”.
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