Per Sergio Ramelli: nel ricordo, continua la tua lotta.
- Redazione
- 29 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min
di Matteo Malacrida
29 aprile 2019: sotto il cielo di una sera milanese le Comunità di tutta Italia si riuniscono, quarantaquattro anni dopo, per ricordare Sergio Ramelli.
È il solito copione: si ritrovano in piazza i fratelli di una vita, si parte composti in corteo. Momenti di tensione accompagnano la marcia silenziosa verso il luogo in cui, il 13 marzo 1975, Sergio veniva aggredito vigliaccamente da un commando di Avanguardia Operaia: il corteo si ferma su ordine della prefettura, e nelle prime file si aprono le solite trattative. Uno sguardo alle stelle, un lungo respiro e si inizia a sventolare i tricolori. Il pesante silenzio di Milano è squarciato da duemila voci che cantano come una sola: “Ascolta il ruscello che sgorga lassù…”. È un canto d’altri tempi, ma che a distanza di anni continua a fare il suo effetto: qualcosa si sblocca nelle prime file, il corteo può proseguire fino alla casa di Sergio e di mamma Anita. Ci si inquadra, e il “presente!” ci ricorda che, anche se morto, Ramelli continua a vivere sulle gambe e nei cuori di chi, anche grazie a lui, oggi è libero di portare avanti la propria fede politica.
29 aprile 2020: l’emergenza Coronavirus sta mettendo in ginocchio la Nazione e il suo popolo. Non c’è raduno né corteo, e non si potrebbe fare altrimenti. Alla mente di tutti noi ritornano i ricordi di una data che ha scandito, nei vari anni, il nostro percorso militante: il “primo Ramelli”, i brividi al boato del “presente!”, il sentire nel proprio intimo il profondo senso del dovere nell’essere lì a ricordare chi, col suo martirio, ha incarnato la storia tragica di una generazione per cui la militanza è stata davvero una lotta, e non certo per scelta propria.
Mite, ma mai disposto a compromessi. Carico di sogni e pieno d’energia in quello che faceva, da fiduciario del Fronte della Gioventù all’ITIS “Molinari” di Milano. Così lo ricorda chi l’ha conosciuto, prima che pagasse con la vita la colpa di aver condannato in un tema le Brigate Rosse e gli assassini di Mazzola e Girallucci: con una vile aggressione, cinque antifascisti a colpi di chiave inglese lo inducono ad un coma che dura quarantotto giorni. Mentre in Ospedale, tenacemente aggrappato alla vita, Sergio combatte con tutte le sue forze, nelle strade di Milano si continua a versare sangue: vengono assaliti tre giovani del FUAN durante un volantinaggio, il consigliere provinciale del MSI Cesare Biglia e sua moglie, il sindacalista della CISNAL Francesco Moratti e altri tre uomini. Finiscono tutti ricoverati, aggrediti senza alcuna colpa: fortunatamente, nessuno di loro perderà la vita. Un giorno prima della morte di Sergio, sotto la casa della sua famiglia viene affisso un manifesto in cui si minaccia di morte persino il fratello Luigi.
Neppure l’aver spezzato una giovane vita – molto più degna della loro – frena gli antifascisti, che il giorno del funerale si appostano dalle aule della Facoltà di Medicina per fotografare e schedare tutti i partecipanti al corteo funebre. Una pratica mostruosa, che dimostra la volontà criminale di chi in quegli anni aveva fatto della propria vita un’oscena macchina da morte.
Il processo fu simile a quello di altri criminali comunisti degli anni di piombo: attenuanti, pene ridotte e condoni, a pagare per l’assassinio di Ramelli furono soltanto Costa e Ferrari, che avevano ricevuto anche condanne aggiuntive. Gli altri imputati Colosio, Belpiede, Castelli, Colombelli, Montinari e Scazza non passano un giorno in galera.
L’anno dopo, alcuni di loro danno fuoco ad un bar, il “Porto di Classe”, frequentato dai giovani di destra: sette feriti, di cui tre in gravissime condizioni ed uno che rimarrà invalido per tutta la vita. Ad un anno dalla morte di Sergio, i “Comitati Comunisti Rivoluzionari” freddano Enrico Pedenovi, consigliere provinciale del MSI che avrebbe dovuto aprire la prima commemorazione per Ramelli.
Belpiede, Scazza e Colosio oggi ricoprono prestigiosi incarichi ospedalieri a Barletta e al Niguarda, Colosio è addirittura docente all’Università Statale di Milano. Sergio ed Enrico, invece, non ci sono più.
Eppure, è proprio questo il destino degli eroi. Vivere la propria vita rifiutando i compromessi, anche a costo di perderla. Essere esempio per chi ha la fortuna di essere nato in anni meno cupi.
Quest’anno, caro Sergio, non ci vedrai, per la prima volta dopo quarantacinque anni: la tua Italia sta attraversando un momento drammatico, ed è necessario che si rimanga a casa. Pazienza se qualche giorno fa l’ANPI, cugini primi di chi ti ha barbaramente assassinato, ha potuto sfilare nelle nostre strade ignorando ogni misura di contenimento: noi siamo di un’altra scuola.
Non ci vedrai, o almeno non sotto casa tua. Ma, siamo certi, che se guarderai un’altra volta verso di noi ci troverai uniti, pur nella distanza, per il tuo ricordo. Ancora oggi parliamo di te, cantiamo per te. Ancora oggi, il tuo sorriso ci rinsalda.
Sergio Ramelli, presente.

Comments