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“Presidente qui ci ammazzano come cani!”

di Salvatore Tuzio


Roma 8 febbraio 1983, Policlinico Umberto I.

La disperazione di una giovane ragazza fa cadere tutti i convenevoli ed i vari protocolli e fa riecheggiare questa frase in tutto il reparto di neurologia: “Presidente, qui ci ammazzano come cani!”. A dirla è Daniela, amica intima di Paolo, in coma dal 2 febbraio in seguito ad un ematoma in testa. A riceverla è il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.


È la sera del 2 febbraio 1983, Paolo e Daniela escono per un affissione nel quartiere Trieste-Salario.

Sono due ragazzi del Fronte della Gioventù: Paolo è speciale, non è il classico “bomber nero e camperos”, porta i capelli lunghi sulle spalle, ascolta De Andrè, mette al centro della sua idea politica l’ecologia.

Quella sera esce in affissione proprio per lanciare la sua battaglia contro l’abbandono di Villa Chigi. Daniela lo accompagna per non lasciarlo solo.


La stagione degli anni di piombo volge al termine, la lotta armata sembra convergere contro obiettivi più grandi, il nemico ora è lo Stato, non certo un ragazzo che mette un manifesto…


Piazza Gondar, lì dove finisce viale Libia e inizia Viale delle Valli, marca di confine tra il Rosso ed il Nero.

Paolo decide di mettere un suo manifesto su un bandone pubblicitario, poco distante c’è la fermata dell’autobus con due ragazzi in attesa, difronte Daniela con la sua macchina accesa pronta per la prossima fermata.

Nottata fredda, Paolo ha quasi finito quando all’improvviso i due ragazzi si staccato dalla fermata e con veemenza colpiscono Paolo alla tempia. Paolo cade, Daniela ha visto tutto ma non ha fatto in tempo ad avvisarlo, sta per scendere dalla macchina ma vede Paolo che si rialza e torna in macchina; lei le chiede come sta, lui minimizza e la prega di non dire nulla ai ragazzi in sezione.

I due tornano a casa, Paolo si mette a letto, la notte ed il sonno sono agitati, i genitori si svegliano a causa dei lamenti, vedono il sangue sui vestiti capiscono che è grave, corrono all’ospedale ma è tardi. Paolo è in coma.


È il 1983, scoppiano bombe contro lo Stato ma a cadere è ancora una volta un ragazzo di Destra, per un manifesto.


Passano sette interminabili giorni, Paolo è legato ad un filo, il coma sembra irreversibile, centinaia di ragazzi fanno avanti e dietro per i corridoi dell’ospedale. Poche ore dopo la visita inaspettata del “Presidente Partigiano”, Paolo Di Nella esala l’anima.

Quella visita tanto inaspettata quanto vitale ha reso gli onori ad una generazione caduta sul selciato in nome di un idea, travolta e uccisa da una barbarie figlia dell’ideologia, alimentata dalla miopia di una classe politica che in alcuni casi proteggeva assassini, giustificandone l’azione.


Quella visita ha reciso il velo di ipocrisia che copriva una classe dirigente che aveva bisogno di nemici per alimentare il suo essere.

Quella visita ha legittimato che colui che cade per un idea è sempre un Eroe.

Quella visita ha sancito immutabile nel tempo che non esistono morti di serie A e morti di serie B. Ma che davanti alla morte di un ragazzo di 19 anni bisogna solo levarsi il cappello.


La morte di Paolo segnerà la svolta nel mondo missino, non si risponderà più a violenza con violenza, ma con l’esempio, proprio come avrebbe fatto Paolo. Il suo sacrificio ha permesso ad una generazione di uscire dal vortice del sangue e spiegare le ali verso la Vittoria.


Oggi, a 40 anni dal suo sacrificio, siamo chiamati ancora una volta ad essere esempio, portando avanti le sue idee e ricordando a coloro i quali usano la Storia a proprio piacimento che il difendere un assassino in nome di un ideologia dai banchi del Parlamento equivale ad infangare la memoria di chi in quegli anni cadde vittima della stessa malsana logica.


Oggi, per il quarantesimo anno, ci troviamo davanti a quel muro perché non è morto solo un “nazionalpopolare”, ma perché Paolo Di Nella è l’esempio del soldato politico che ognuno di noi dovrebbe aspirare d’essere.


Oggi, a 40 anni distanza, siamo in quella piazza a giurare di proseguire la sua battaglia, e a gridare ancora una volta il nostro Presente!



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