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Primavalle: una strage da non dimenticare

Di Alessandro Vinci


Quel 16 aprile del 1973, Roma dormiva, successivamente le fiamme, le urla, che divorano non solo una casa, un quartiere, ma rimbomba negli echi di un’intera generazione.

 

Il 16 aprile del 1973, è notte fonda nel quartiere popolare di Primavalle. Dentro uno stabile in Via Bernardo da Bibbiena 33, qualcosa sta per succedere, qualcosa che lascerà una ferita indelebile e marcherà una comunità intera, e a sua volta le comunità future.

Primavalle è silenziosa, Mario, il padre, è segretario della sezione del MSI del quartiere. Vive con una famiglia, una moglie e cinque figli, portando sul collo il peso di una fede politica, che in quegli anni non è facile trasportare.

Intorno alle 3:00, due militanti di potere operaio, Achille Lollo e Marini Calvo, salgono le scale della palazzina, con una tanica di benzina. Da lì il rumore del liquido che cola,la fiamma divampa è rapida e crudele, si incendia la porta e si propaga facendosi assassino. Nell’incendio rimangono vittime Mario e Virgilio rispettivamente, 22 anni e 8 anni, provano a salvarsi, ma le fiamme, li inseguono e li bruciano vivi. Quando i vigili del fuoco intervengono, i corpi vengono ritrovati carbonizzati e abbracciati, un ultimo abbraccio tra fratelli, carbonizzati nel dolore.

Il giorno dopo, i giornali parlano di “incendio doloso”. Ma la verità quella vera, quella scomoda purtroppo tarda a venire. La sinistra estremista tace o minimizza. La stampa progressista distorce.

Servirà tempo, troppi anni, prima che gli autori vengano individuati e condannati. Ma nessuno di loro sconterà davvero la pena.

 

Quel giorno qualcosa si spezzava nei cuori di una comunità politica, non era solo la morte di anime innocenti, era la propagazione del terrore che diventava carne. Stefano e Virgilio non sono solo vittime ma simboli, due corpi bruciati dal fuoco dell’odio, due nomi che si ergono a memoria.

Nel quartiere sala la tensione, i funerali si svolgono tra lacrime e bandiere tricolori, ma non c’erano solo pianti di dolore, la pizza era accompagnata a da un silenzio assordante, quello dei giornali, da chi, ha scelto di voltarsi dall’alta parte invece che parlare, raccontare la verità. Luca Telese ci aiuta a ripercorrere con precisione quanto questa tragedia venne ignorata “in quegli anni sembrava considerare giusto solo il dolore di una parte”, infatti per Stefano e Virgilio nessun articolo, nessuna parola, un normale “incendio doloso”, come dicono i giornali. Il loro sangue non era compatibile con la narrativa dominante. Erano dei “fascisti” dunque un dolore sacrificabile.

Eppure la loro memoria resiste. Ogni anno, in silenzio, con una preghiera oppure con una deposizione di fiori qualcuno li ricorda a via Bernardo da Bibbiena 33, non per odio ma per fedeltà, perché ricordare è un atto politico, è dire “noi non vi abbiamo dimenticati”.

Il fuoco ha provato a cancellarvi, ma i vostri volti sono impressi nei muri del quartiere e nel marmo dei nostri cuori. Non appartengono solo alla famiglia, ma a chiunque ha scelto di appartenere ad un’idea, a una memoria che brucia ancora: non per distruggere, non per odiare, ma per illuminare chi non ha mai voluto abbassare la testa

 

 
 
 

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