di Matteo Malacrida
Non riescono a guardarti negli occhi.
Sono passati quarantotto anni, la tua storia è passata di bocca in bocca tra generazioni così diverse tra loro. Ha emozionato, ha incitato, ha rafforzato gli animi e i cuori di chi con te, senza averti mai conosciuto, condivide l’amore infinito per un’Idea eterna ed immortale.
Fai ancora paura. Nel tuo sorriso mai spezzato c’è quello che odiavano ieri e continuano ad odiare oggi. Nei tuoi capelli, tu così diverso dai mostri che animavano le favole dei giornaloni, vedono la libertà e nel loro profondo la invidiano con odio. Nella tua vita così normale e così anormale, così semplice e così straordinaria, si svelano le menzogne e si squaglia il fango gettato. Nella tua morte c’è la loro sconfitta.
La loro sconfitta è nel nostro ricordo di ogni anno. Inquadrati sotto casa, in quel vicolo che ti ha strappato alla terra e ti ha consegnato per sempre all’Eterno. La loro sconfitta è nello Stato che ti rende finalmente onore. È in quella donna che conoscevi ragazza e che oggi, mentre la chiamano “sottosegretario”, viene a salutarti e a ricordarti ragazzo. A ricordare com’eri: libero, gioioso, felice.
Non ti sopportano, Sergio, perché hai scelto di essere così diverso da loro e lo sei stato per tutta la tua breve vita. Perché senza volerlo, con la tua morte, hai poi acceso una fiaccola in migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze che ogni giorno vivono percorrendo la strada tracciata da te.
Sono passati quarantotto anni da quel 13 marzo 1975 in cui un commando di Avanguardia Operaia ti ha spaccato il cranio a colpi di chiave inglese perché avevi osato dire che le Brigate Rosse erano una montagna di merda.
Avrai per sempre diciotto anni. Chi ti ha massacrato sarà invece cresciuto, avrà fatto carriera, si sarà fatto la villa con la servitù. I loro figli ideali saranno a latrare, come ogni anno, cani indegni del tuo sorriso. I tuoi fratelli, le tue sorelle, saranno invece col tuo stesso sorriso a ricordarti.
Caro, eterno, Sergio Ramelli.
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