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Stato di tensione

di Ilaria Telesca


Nel 1917 l’Inghilterra decideva le sorti di un popolo.


“Egregio Lord Rothschild, è mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni dell'ebraismo sionista che è stata presentata, e approvata, dal governo. Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni.”


Così Balfour, importante membro della massoneria britannica ed allora segretario degli affari esteri, autorizzava di fatto la migrazione e l’insediamento del movimento sionista in Palestina, terra araba nonché Patria, ovviamente (avverbio che purtroppo non è scontato evidenziare), di quello stesso popolo arabo.


Gli esiti della Seconda Guerra Mondiale e il tragico avvenimento della Shoah hanno poi reso possibile la costituzione, sempre a seguito di decisione occidentale, di uno Stato di Israele nel 1948.


Da allora la tensione tra i due popoli non si è più fermata.


Lo Stato di Israele è nato e si è sviluppato grazie alle sovvenzioni economiche, strategiche e militari degli Stati Uniti in primis e delle altre potenze europee che, nonostante quei territori siano palcoscenico di un’infinita guerra civile, non hanno mai preso posizione diversa da quella americana.

Israele si trova in una posizione cruciale nel territorio mediorientale, essenziale per destabilizzare Paesi che come principale alleato hanno l’eterno nemico statunitense, la Russia; ce lo dimostrano esempi recenti come la posizione contro Assad in Siria durante la guerra del 2011 o i continui scontri formali e militari con l’Iran già a partire dalla Rivoluzione di Khomeyni e che si sono intensificati negli ultimi anni.


Ma torniamo alla Palestina.


Il 2022 è stato l’anno più sanguinoso dalla fine della seconda Intifada.

Almeno 220 sono stati i palestinesi uccisi dall’esercito israeliano, di cui 48 bambini; 9500 sono stati i feriti.


Il 2023 non è iniziato diversamente: il 26 gennaio un raid israeliano ha tolto la vita a dieci palestinesi nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania.

Nella notte tra l’1 e il 2 febbraio altre bombe sono state sganciate sulla Striscia di Gaza.


Ma non ci si poteva aspettare una situazione diversa soprattutto perché il 29 dicembre scorso si è insediato il VI Governo Nethanyahu, enorme minaccia per il popolo palestinese.

Il giorno prima del suo insediamento Nethanyahu ha affermato, infatti, che “il popolo ebraico detiene il diritto esclusivo e indiscutibile su tutti i territori della Terra di Israele” tra cui la Cisgiordania, la cui popolazione è a maggioranza palestinese.


“Palestina libera” non è solo uno slogan, è una speranza che soprattutto la nostra generazione porta avanti.

Confidare nelle ideologie non è la soluzione, è l’ideale che conta.

Un ideale che anche in questo caso ci porta a sostenere chi combatte per la difesa della propria Patria.


La Guerra tra Russia ed Ucraina, con tutti i suoi risvolti sociali e geopolitici, dovrebbe insegnarci che l’unica soluzione è la pace.

Israele non vuole la pace, Israele vuole conquistare una Terra che già appartiene a qualcuno e che quel qualcuno rivendicherà sempre, sacrificando la propria vita, combattendo con le fionde e con i sassi contro i carri armati, ricostruendo tutte le scuole che ogni giorno vengono abbattute da raid aerei, cercando di aiutare una comunità che da un momento all’altro rischia di essere vittima di bombardamenti, sventolando una bandiera che ha il diritto di essere issata in quella Patria.


La Palestina deve essere liberata da quell’élite che, con ricchezza e violenza, vuole distruggerla.

L’Europa non può più permettersi di difendere l’oppressore israeliano o di avere un approccio indifferente a questo conflitto. Non esistono guerre di serie A e di serie B.


Anziché “esportare democrazia” con armamenti militari come gli Stati Uniti ci hanno insegnato, recuperiamo invece una vecchia nostra usanza nata migliaia di anni fa: Roma ha esportato Mos maiorum e Tradizione, noi ne siamo semplici eredi perciò, senza pretendere di raggiungere la sua grandezza, cominciamo a portare nel mondo giustizia e indipendenza.


Palestina libera, oggi e sempre.



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