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Sudan: l'immobilismo europeo nello scontro tra generali

di Gabriele Sciarratta


Abbiamo visto circolare sul web le immagini che mostrano centinaia di corpi accatastati di sudanesi morti per colpa della guerra civile in atto.


Cosa sta succedendo veramente?


L'assenza di un Governo sudanese globalmente ed unitariamente riconosciuto non comporta l'esclusione di questo paese africano dalla carta del geopotere contemporaneo.

Guardando ai precedenti, nello storico del Sudan fino ad oggi, notiamo principalmente come il paradigma dell'influenza europea nella regione sia stata ridotta a sola presenza umanitaria, limitandosi alla missione EU NAVFOR Somalia nei confronti della pirateria nel mar Rosso.


L'attuale guerra civile vede contrapposte forze governative (SAF) e la milizia della Rapid Support Forces (RSF), nata in ottica filo-araba al tempo del regime di al Bashir, divenendo un esercito privato ben equipaggiato e con enorme potere contrattuale grazie al controllo delle miniere d'oro nel Darfur ed i contratti per la lavorazione con gli Emirati Arabi.


Ad oggi sono tre i motivi che spingono a questa polarizzazione: l'influenza dell'Egitto che va in supporto dell'esercito governativo per mantenere lo status quo regionale nei confronti dell'Etiopia quale nemico comune, tra la diga GERD e gli scontri etnici tra arabi-sudanesi ed etiopi; l'altro è il controllo interno delle rotte commerciali, tra il corridoio desertico per il traffico di terre rare, il mar Rosso per il ruolo strategico sulla rotta marittima ed il Sud Sudan per gli oleodotti petroliferi; l'ultimo sono gli attori esteri che vogliono mantenere posizioni vantaggiose sul piano geopolitico.


Il motore principale è da individuare dunque nell'ultimo punto, dove gli Stati esteri foraggiano militarmente e logisticamente le forze SAF o le RSF a seconda degli interessi:

a sostegno delle forze governative, come già precisato in precedenza troviamo l'Egitto, poi l'Arabia Saudita che vuole mantenere sicura la rotta nel mar Nero con i porti sudani attualmente sotto il controllo governativo, l'Iran in chiave anti-Emirati e la Cina che non si schiera apertamente, col solo obiettivo di mantenere sicuri gli oleodotti che partono dal Sud Sudan;

invece a sostegno della milizia privata gli Emirati che importano l'oro sudanese, la Russia che in realtà gioca su due tavoli, tra il mantenimento dei rapporti col governo per la possibile costruzione di una base navale militare a Port Sudan e lo sguinzagliamento degli Africa Corps del gruppo Wagner per mantenere accessi privilegiati sul corridoio nel Sahel e sull'oro sudanese estratto illegalmente, lasciando così offerte vantaggiose.


In questo contesto l'Europa, ormai soggetto politico prettamente moralista, si limita ad essere garante ed osservatore esterno per evitare lo sconfinamento del jihadismo e l'immigrazionismo dal Corno d'Africa verso il Mediterraneo;

gli USA invece cercano di mantenere uno spazio attivo offrendo vie d'uscita diplomatiche e sanzioni mirate per evitare che la bilancia penda a favore di Iran, Russia o Cina, favorendo così i partner del Golfo.


Sarcastica è la posizione europea, che dalla promessa di peacekeeper, resta concentrata negli interessi elettorali ed aiuti umanitari di facciata che riguardano Gaza, senza un occhio di riguardo alla situazione sudanese, nonostante il pericolo di un esodo grazie alla sanguinosa guerra civile portata avanti dalle forze contendenti;

questa posizione rimarca l'immobilismo del continente europeo, la mancanza di una politica estera comune e l'assenza di proiezione materiale sulle sfide economiche che stravolgeranno l'Europa di qui a breve.

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