Di Dario Lioi
In molti stanno celebrando oggi l'anniversario della morte di J. R. R. Tolkien, il padre della Terra di Mezzo, il professore di Oxford che scrisse Il Signore degli anelli.
Tutti ne hanno sentito anche involontariamente parlare, tanti hanno visto i film dedicati alle sue opere, altri hanno letto i suoi libri, ma pochi sanno che nel cimitero di Wolvercote, a nord di Oxford, l'incisione della lapide che riporta i nomi di marito e moglie - John e Edith, sepolti assieme e per sempre uniti - ha su impressi i nomi di Beren e Lúthien, i due protagonisti della storia d'amore del suo romanzo postumo tra un uomo e una fanciulla elfica.
Tolkien aveva scolpito nel mito, quindi nell'eternità, e prima ancora che sulla pietra del ricordo, lo sfondo dell'orizzonte della sua vita.
L'amore per sua moglie lo aveva accompagnato nella prima guerra mondiale e nell'infinito creare fantastico della sua penna.
Senza Edith non ci sarebbe stato Beren, solo John, e senza Beren il mondo non avrebbe conosciuto la sua opera.
L'amore salva dalla morte.
Sam dopo avere salvato la contea e l'intera Terra di mezzo ritrova Rosie Cotton, mentre Aragorn diventa Re di Gondor grazie alla rinuncia all'immortalità della sua Arwen.
Frodo e Gandalf invece, così come Bilbo, sono i protagonisti che conosceranno una vittoriosa sconfitta.
Conosceranno per primi la morte, non una ma due volte, e saranno costretti ad abbandonare i rifugi oscuri proprio perché privi di una forza che li difenda, e della stessa forza da difendere.
L'amore per il bene e per la giustizia non bastano da soli a sfidare le tenebre, possono aiutare a sconfiggerle, ma il colpo ferale, quello che le fa sparire nel nulla non può che essere l'amore tra due esseri.
È la proiezione infinita della luce, quel per sempre per cui - diceva Nietzsche - solo chi ha le ali può mettersi al di sopra degli abissi.
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