top of page
Cerca
Immagine del redattoreRedazione

Torniamo al reale

di Ilaria Telesca

Tre anni fa la società subiva un cambiamento radicale. A marzo del 2020 iniziavano i due mesi della cosiddetta “fase 1”, un periodo di restrizione totale dovuto al nuovo pericolo pandemico che aveva sconvolto il mondo. Sorvolando sulla gestione della situazione sanitaria, su cui tanto ci sarebbe da dire, sono le conseguenze di questi anni di terrore a preoccuparci maggiormente. Ad oggi la nostra comunità, mutata in tutto e per tutto, è il prodotto di un distacco totale dalla realtà dovuto all’isolamento forzato di cui siamo stati vittime. Chiusi in quattro mura dalla mattina alla sera, abbiamo dimenticato quanto fosse importante il contatto con gli altri, il confronto reale e non dietro uno schermo. Prigionieri di social media e informazione digitale, viviamo oggi più di ieri in un mondo costruito ad hoc da un’élite miliardaria che decide così i nostri interessi e i limiti della nostra conoscenza, servendoci su un piatto d’argento una dominante arma di distrazione, ignoranza e alienazione. L’utilizzo degli apparecchi digitali si è intensificato e ha cambiato forma, diventando una vera e propria dipendenza a tutti i livelli. In un momento in cui non c’era interazione reale, d’altronde, quello era l’unico modo di comunicare. Il lockdown è finito ma l’attaccamento materiale e immateriale alla digitalizzazione compulsiva non ha avuto termine. Al contrario, anziché cercare di riprendere contatto con la realtà, si è mal pensato di incrementare l’uso del digitale anche in contesti come quello lavorativo con lo smart working, un modo atroce di isolare l’individuo anche nel momento in cui, lavorando, sta teoricamente dando un contributo alla società. Sia chiaro: la digitalizzazione è un processo positivo, che semplifica molte procedure e rende tutti gli scambi molto più agevoli. Tale processo, però, non può essere incontrollato e non può contrastare con la vita sociale di una comunità. Il ritorno al reale è una priorità che dobbiamo porci. Abbiamo ricominciato ad andare in palestra, al cinema, ai concerti, eppure la vita sembra ruotare sempre e solo intorno ai social. Si sta perdendo il valore fondamentale della partecipazione alla vita pubblica, della discussione propositiva, del confronto in comunità. “Condividere”, che per la Treccani vuol dire ancora “dividere, spartire insieme con altri”, ad oggi nel linguaggio comune ha assunto il significato di “postare” sui social. E gli “altri” di cui parla la Treccani non sono più la famiglia, gli amici, i conoscenti, bensì i followers; e più followers hai, più hai il diritto di esprimere un’opinione su qualsiasi tematica e di avere ragione. Non c’è bisogno di alcun dibattito né di alcuna competenza, è la quantità di likes che determina la verità. È un cambiamento spaventoso che, però, è emblema della società in cui stiamo vivendo, che si fonda sull’individualismo e sull’isolamento egoistico. Siamo nel 2023 eppure uno scritto del IV secolo a.C., il Mito della Caverna, sembra sempre più attuale. Il Mito è questo, un concetto che nasce millenni fa e che insegna la vita agli uomini; un racconto del passato che orienta le generazioni future. La società, ad oggi, sembra rinchiusa in quella caverna di cui Platone parlava, in catene rivolta verso un muro che ha uno schermo, un caricatore o un telecomando. Alle sue spalle c’è la luce troppo accecante, c’è la conoscenza, c’è la vita sociale. Combattiamo il buio, scegliamo la luce. Torniamo al reale e torniamo a vivere con e per la comunità.



32 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page