“In quegli occhi di contadino
passeggiano il fango e il suo destino
Ma non li vede nessuno...”
Era il 1998 e nelle sezioni della gioventù di Destra veniva cantata questa canzone. L’Italia si apprestava ad entrare nella neonata Unione Europea da Nazione cofondatrice e lo scetticismo era manifestato con ogni mezzo possibile, anche tramite le canzoni. La generazione che si apprestava a chiudere il ventesimo secolo si domandava quale direzione avrebbe preso questo nuovo super leviatano che si veniva a creare, la via della Federazione di impronta tedesca o americana o una via confederale, dove al centro restavano gli Stati per magari attuare quel sogno da sempre cullato: l’Europa Nazione.
Sono passati ventisei anni dal quel 1998 e l’Italia è, o dovrebbe essere, una nazione pilastro dell’Unione Europea, eppure non si è definita la natura definitiva dell’ente sovranazionale. Un po’ federazione un po’ confederazione, sicuramente un grande burocrate sovranazionale che nella maggior parte della questioni in materia di competenza invece di agevolare il mercato unico, motivo della sua creazione, ne rallenta in maniera determinante lo sviluppo rischiando di uccidere sul nascere la possibilità di competitività dei prodotti dell’unione nel mercato globale.
Ultima per data è la direzione presa dalla Commisione Europea sul prezzo dei cereali, del latte e dei vari derivati prodotti nei terreni agricoli delle varie nazioni europee e delle conseguenziali regole di produttività inerenti al non sovraccarico dei lotti in nome dell’ecologia e contro l’inquinamento che però danneggiano i destini di quei contadini cantati più di venticinque anni fa.
Succede, però, che i cittadini produttori dell’unione con un movimento transnazionale si schierano contro la Direttiva e scendono nelle piazze per protestare arrivando a chiudere le autostrade con i vari mezzi agricoli in tutta Europa. Da Parigi alle campagne bavaresi, dalla pianura Padana a Bruxelles.
Analizzando però le dichiarazioni dei “leader” o presunti tali della protesta, si evince un elemento discordante tra ciò che succede nel resto d’Europa e ciò che invece avviene in Italia: poichè se è sicuramente vero che la Direttiva colpisce indistintamente tutti gli interessati è pur vero che i singoli Stati Membri posso in fase di attuazione porre modifiche di esecuzione rispetto all’indirizzo dato da Bruxelles, così a differenza di ciò che i governi di Francia e Germania non hanno fatto, l’Italia, si è mossa subito per cercare di indirizzare il tiro, in modo da non danneggiare ulteriormente una categoria fortemente colpita negli ultimi vent’anni, e che al contempo produce un terzo del PIL, tramite l’azione governativa e tramite la mediazione delle associazioni di categoria. Si crea così un doppio paradosso: il primo riguarda qualche “esaltato” che approfitta di una situazione caotica per mettersi in risalto e contarsi perchè nei vari tavoli non partecipano o sono parte minoritaria.
Il secondo paradosso è che il super leviatano burocrate non fa gli interessi delle nazioni che lo hanno creato e che queste ultime devono correre ai ripari sulle delibere calate dall’alto per tutelare le parti lese, dimostrando ancora una volta come il super aggrovigliato ingranaggio Europeo sia limitante per i cittadini e ancor più vada spesso contro gli interessi di quest’ultimi; dimostrando ancora una volta che il processo di formazione debba avere un epilogo definitivo verso una delle due forme, confederale o federale, e visto le produzioni di chi attualmente siede nella stanze del potere è auspicabile la prima forma.
Dimostrando infine che, tutto sommato quella vecchia canzone, quel vecchio inno non aveva cosi torto perchè se la potestà legislativa resta in capo alle singole Nazioni le specificità di ogni territorio porterà alla reale competitività del mercato unico verso il mercato globale, perchè non può e non deve essere, visti i risultati, “..Europa a determinare quest’anno quanto il grano vale e del latte di un animale quanti litri ci divranno bastare...”
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