di Jacopo Tagliati
È di qualche giorno fa la notizia che a Reggio Emilia un famoso bar del posto ha voluto battere tutti sul tempo e vendere le prime brioches tricolore panificate con farina di grillo. Avanguardia.
Sarà forse che il gestore del locale, già noto ai più della zona per le sue “stravaganze”, ha colto al volo l’occasione per farsi pubblicità, sarà che così sicuramente ha scatenato un polverone di polemiche e ha fatto parlare di sé…ma ai miei occhi tutto ciò sembra un vero e proprio stupro alla pasticceria e alla cucina italiana (o “cagata pazzesca” come diceva il buon Villaggio).
Se la decisione dell’Ue di liberalizzare la vendita di prodotti a base di insetti vietnamiti aveva fatto storcere il naso alla stragrande maggioranza degli italiani, vedere che un locale emiliano abbia cominciato a commercializzare tali prodotti fa ancor più male. Un conto sono i supermercati che offrono la più ampia scelta possibile di prodotti ai loro clienti, un altro è un bar che offre le classiche colazioni nostrane a base di cornetto e cappuccino.
Quando dico che fa male, o quanto meno fa indignare, è perché se tutto ciò fosse successo nel classico locale radical chic di Milano centro ci avrei riso su, ma invece questa nefandezza si è consumata nella mia terra: l’Emilia. Laddove nasce il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto Crudo di Parma, la Mortadella di Bologna, l’Aceto Balsamico di Modena e la Coppa piacentina, c’è qualcuno che è disposto a vendere cornetti fatti con le blatte piuttosto di far due soldi: una vera amarezza.
Non c’è da meravigliarsi in fondo. In un’epoca, quale quella in cui viviamo, dove ci sono professori universitari i quali affermano che i nostri migliori formaggi sono in verità nati nel Winsconsin, che la Pizza non è italiana e che la Carbonara è un piatto a stelle e strisce, la farsa del cibo “insettoso” si inserisce alla perfezione nel delirante disegno secondo il quale anche i cibi tipici sarebbero da abolire, poiché dannosi per l’ambiente. Molto meglio ripulirsi la coscienza e l’intestino con un bel thè matcha comprato con il codice sconto dell’influencer di turno, oppure farsi un buon ragù di tofu/seitan ecosostenibile contro gli allevamenti intensivi di carne, per non parlare poi del dolcetto fatto con la farina di quinoa della Bolivia raccolta da quei “campesinos”, i quali, sono così poveri che per raccogliere i frutti della loro terra da vendere ai progressisti europei, campano di coca cola e hamburger americani poiché di prezzo minore. Un delirio senza fine che somiglia tanto ad un cane che si morde la coda.
Per concludere, mi viene da dire che, in fin dei conti, nei confronti della farina di grillo e delle altre porcate immesse nel mercato la cosa migliore da fare sia fregarsene e aspettare che, come tutte le mode, anche quest’ultima se ne vada e lasci in noi una maggior consapevolezza di quanta fortuna abbiamo a vivere nel paese in cui si mangia (e si vive) meglio al mondo!
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