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50 anni senza Tolkien

Di Giuseppe Ferrante


“Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza, le radici profonde non gelano”: sì, è proprio in questa famosissima citazione tratta dal Signore degli Anelli che si capisce perché, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, Tolkien ancora ispira e infiamma i cuori di intere generazioni.


Generazioni diverse, distanti nel tempo ma non nello spazio, che appartengono tutte alla stessa comunità, quella della destra militante, di cui il filologo britannico rappresenta una delle maggiori icone culturali.


Nato in Sudafrica nel 1982 da una famiglia di origine inglese ed all’età di tre anni si trasferisce nel villaggio di campagna di Sarehole vicino Birmingham, insieme con la madre ed il fratello, mentre il padre non riesce a raggiungerli perché ammalatosi di febbri reumatiche, morì poco dopo la loro partenza.


Tolkien impara a leggere e scrivere prestissimo, prima dei quattro anni, e sua madre gli trasmette la passione per le leggende antiche e per le lingue straniere: alla morte della donna, insieme al fratello viene affidato a Padre Morgan con cui inizia a studiare il latino, il greco ed il gotico e negli stessi anni comincia ad elaborare ad una lingua di sua invenzione, la lingua delle fate.


All’età di diciotto anni, si innamora di Edith Bratt, sua futura moglie, ma Padre Morgan gli impedisce di vederla e di scriverle e così finisce per dedicarsi unicamente ai suoi studi presso l’Exeter College di Oxford, in lingua e lettere anglosassoni conseguendo la laurea nel 1915.


Dopo l’esperienza sul fronte occidentale durante la Grande Guerra, Tolkien si sposa nel 1916 con Edith Bratt e comincia a scrivere The Book of Lost Tales, il suo primo ciclo di racconti mitologici, in seguito pubblicati con il titolo The Silmarillion dal figlio Christopher, curatore delle sue opere.


Nel 1920, viene nominato lettore d’inglese presso l’Università di Leeds ed in seguito professore di filologia presso il Pembroke College di Oxford, mentre nel 1945 assume l’incarico di professore di lingua e letteratura inglese presso il Merton College di Oxford, dove rimane fino al suo ritiro nel 1959.

Sono questi gli anni dell’elaborazione de Il Signore degli Anelli che lo consacrano alla storia quale custode e aedo di racconti mistici, di personaggi e ambientazioni fantastici, sguardi e moniti affascinanti, coraggiosi ruggiti, azioni audaci e poi ancora sorrisi solari che affondano le radici direttamente nella spiritualità atavica dell’Europa delle Nazioni, di cui proprio Tolkien apre le porte ai suoi lettori, consegnando loro la preziosa chiave.


Il Professore muore durante una visita ad amici a Bournemouth nel 1973, una cittadella costiera del sud dell’Inghilterra dove si era trasferito con sua moglie e che aveva lasciato dopo la morte.


Oggi è in corso il meschino tentativo di ingabbiare anche Tolkien nella logica politicamente corretta al fine di rinchiuderlo nel contenitore della cultura di sinistra che adesso vorrebbe farne un suo feticcio culturale – e la nuova serie targata Amazon ne è la prova – ma che negli anni ’70 snobbò le sue opere per il suo essere dichiaratamente cattolico ed a causa di una controversa dichiarazione interpretata endorsment al regime franchista.


Al contrario, la penetrazione dei simboli e delle espressioni tolkeniani nel linguaggio politico comincia quando le destre militanti, soprattutto quelli più giovani, in cerca di un nuovo mondo culturale di riferimento a cui rifarsi e influenzate dall’impianto filosofico di Evola, furono rapite dall’opera di Tolkien contaminata dalla mitologia norrena e da quella nordeuropea: da qui in poi, il Fronte della Gioventù inizia ad usare nelle manifestazioni le croci celtiche nere su campo rosso.


Ancora oggi, il sentimento dell’epoca è facile da capire: noi non siamo uomini d’oggi e Tolkien favoleggia di un passato mitico e antichissimo, ancorato alle tradizioni, dividendo nettamente tradizione e modernità, valori spirituali ed esigenze materiali.


Da allora, è una nostra bandiera.

Da allora, proprio come per la Compagnia dell’Anello, l’avventura comincia ogni giorno appena fuori dall’uscio di casa.

Da allora, non serve opporsi, immaginare di poter vivere diversamente, dichiarare di amare la vita tranquilla e le pacifiche contrade del proprio paese.

Da allora, non basta tenersi lontani dai guai perché sono loro che ti cercheranno e di troveranno.

Da allora, l’avventura non è solo l’eterna lotta del bene contro il male, ma è anche una sfida alle stelle e a se stessi, una lotta incessante contro i propri limiti e paure.

Da allora, proprio parafrasando Tolkien, visto “il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo”, l’avventura significa sacrificarsi per il futuro della propria Comunità, dell’Italia e dell’Europa, “mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove”.

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