Il mondo si muove, l’Europa dorme
- Redazione
- 3 giorni fa
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Di Marco Di Pippa
Nel mondo post-ideologico in cui viviamo, le grandi potenze sembrano aver sostituito le vecchie bandiere con il puro calcolo strategico. La recente rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato un nuovo punto di svolta negli equilibri globali. Dietro ai proclami di forza e patriottismo, il Presidente americano ha di fatto inaugurato una nuova stagione di disimpegno strategico, lasciando alla Russia di Vladimir Putin ampi margini di manovra, soprattutto nei teatri più caldi d’Europa. Di fronte a una guerra che divora l’Ucraina da anni e a uno scenario globale in costante instabilità, Washington si muove con ambiguità calcolata, Mosca avanza, e i due leader — apparentemente opposti — si ritrovano, nei fatti, a condividere una visione multipolare in cui l’Europa conta sempre meno. L'incontro che si è tenuto lo scorso 28 febbraio tra Trump e Zelensky nello Studio Ovale ha mostrato più di mille parole, la nuova postura americana: distaccata, fredda, quasi impaziente. L’Ucraina non è più la “causa morale” di una democrazia da esportare, ma una pedina in un gioco che gli Stati Uniti non hanno più voglia di condurre in prima linea. “Fate la vostra parte, oppure fatevene una ragione”, è il messaggio tra le righe. E se da un lato questa posizione riflette una lucida realpolitik americana, dall’altro apre spazi enormi all’influenza russa nei Balcani, nel Caucaso e persino nel Mediterraneo. E mentre i nuovi equilibri si delineano, l’Europa resta immobile. Sottoposta a una visione tecnocratica e priva di anima, ostaggio di agende ideologiche lontane dalla realtà dei popoli. La burocrazia di Bruxelles discute di diritti fluidi e di transizioni ecologiche mentre ignora le vere sfide della contemporaneità: sovranità, sicurezza, identità. Come scriveva Roger Scruton, “una cultura senza nazione è una maschera; una nazione senza cultura è una macchina senz’anima”. Oggi l’Europa è proprio questo: un organismo senz’anima, smarrito, piegato su sé stesso, incapace di difendere i propri interessi e i propri confini. Il pensiero conservatore, però, offre una bussola. Offriva una visione già prima che il caos emergesse: un’Europa delle patrie, non dei tecnocrati. Un’Europa che unisca le nazioni nella difesa delle proprie radici, non che le disintegri nel nome del mercato o dell’ideologia. Julius Evola ammoniva: “Non si può costruire nulla di durevole se non su fondamenta solide, su valori eterni.” Ecco la sfida: tornare a quei valori. Riaccendere il fuoco della civiltà europea, oggi minacciato tanto dalla passività interna quanto dall’espansionismo esterno. L’Italia, con la sua storia millenaria, la sua posizione strategica, il suo capitale umano, deve essere la scintilla. Non c’è alternativa. Serve un progetto, una visione, una classe dirigente nuova, formata e fedele. Serve il coraggio di chi non vuole più stare a guardare. Trump potrà anche voler riportare l’America ai suoi interessi nazionali — e ha diritto di farlo. Ma proprio per questo, noi europei dobbiamo fare lo stesso. Se gli Stati Uniti tornano a essere America First, l’Europa non può permettersi di essere Europe Last.
L’illusione dell’ombrello americano sta finendo. L’Italia non deve temerlo, ma coglierlo come opportunità storica. Il tempo della neutralità comoda è finito. O si torna protagonisti, o si è vassalli.
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