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We were all wounded atWounded Knee

di Francesco di Giuseppe


Il 29 dicembre del 1890 la valle di Wounded Knee è coperta solo di neve, di lì a breve lo sarà di sangue. Un gruppo di Lakota Sioux, i , marcia al comando di Piede Grosso, un capo tribù che aveva deciso di recarsi Pine Ridge per riunirsi alle forze di Nuvola Rossa. La morte di Toro Seduto, avvenuta pochi giorni prima durante un concitato arresto da parte di alcuni agenti federali, aveva allarmato tutti i capi pellirosse. Il pericolo, per molti capi tribù, era che il governo degli Stati Uniti, terrorizzato da quella strana "danza degli spiriti" che serpeggiava tra la popolazione nativa, iniziasse ad arrestare e uccidere le personalità più importanti delle riserve. Come, infatti, avvenne. Stanchi, infreddoliti e con Piede Grosso, malato; gli indiani si accamparono pacificamente a Wounded Knee Creek. Durante la notte il comandante degli yankee, Colonnello Forsyth, fece piazzare tutto intorno al campo indiano, cannoni e mitragliatrici. Quando, al mattino, gli indiani iniziarono a fare la danza rituale, i blu, che erano nel frattempo entrati nel campo, ordinarono di cessarla. Il gesto di uno degli indiani – pare l’aver lanciato una manciata di terra come prevedeva il rituale che stavano facendo – fu interpretato come un segnale o una provocazione e iniziò la mattanza. Sul terreno, secondo la versione ufficiale, restarono 153 indiani, donne e bambini compresi. La realtà parla di ben altri numeri. Coloro che erano feriti furono finiti o lasciati morire assiderati nel gelido inverno. Il Governo americano decorò gli ufficiali del 7° Cavalleria che avevano compiuto la strage. Perduta nel “vae victis” in pochi conoscono nel dettaglio le vicende che portarono alla cancellazione dei “pellerossa” e nomi come Sand Creek e Wounded Knee non richiamano nulla alla mente se non qualche coraggiosa canzone. Solo Dee Brown, bibliotecario e poi professore all’università dell’Illinois, negli anni ‘60 ebbe il coraggio di iniziare un approfondito studio che portò alla pubblicazione nel 1970 di quello che poi divenne un successo editoriale: “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” (Bury my Heart at Wounded Knee) in cui ripercorre la storia coloniale del nord America fra il 1860 e il 1890, un’epoca di “violenza, rapacità, audacia, sentimentalismo, sfrenata esuberanza, caratterizzata da un atteggiamento quasi reverenziale verso l’ideale di libertà personale di coloro che già la possedevano”, recita l’introduzione, in cui l’autore spiega di aver raccolto le testimonianze e le documentazioni degli indiani, per parlare della conquista del West dal punto di vista di chi l’ha subita.


 «Lassù morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno... il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l'albero sacro è morto.»


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