di Greta Legato
Palermo, anno 1992, due stragi che segnarono un colmo che resterà per sempre indelebile nella storia d’Italia.
Due uomini coinvolti, due magistrati protetti dai propri angeli custodi con addosso una divisa molte volte derisa da quei tanti “ominicchi” incapaci di dare un significato al senso del dovere.
Quel senso del dovere da cui ognuno di noi dovrebbe prendere spunto a prescindere dal ruolo che ricopre: che sia un politico, che sia un giudice, che sia un poliziotto, che sia un semplice cittadino. È così che ci lasciarono degli uomini che fecero della lotta alla mafia la battaglia della loro vita per sopprimere il “puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
È così che ci lasciarono i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due uomini annientati dalla paura di poter essere uccisi da un momento all’altro ma nello stesso tempo due uomini che tennero fede al proprio coraggio senza mai abbassare la testa dinanzi a qualsiasi tipo di avversità.
Due uomini che insieme ad un gruppo di magistrati, diedero vita ad un ideale che accompagnerà per sempre ogni cittadino onesto, lungo la strada della correttezza, della lealtà e della legalità. Oggi un omaggio lo merita vivamente colui che insieme a Falcone e Borsellino collaborò assiduamente: un uomo purtroppo dimenticato ma che merita come tutti gli altri di essere onorato. E non solo perché diede vita ad un gruppo di uomini che costituiranno il cosiddetto “pool antimafia” ma sopratutto perché ebbe il coraggio di affrontare con coraggio e lealtà, la verità.
Colui che rimase sconcertato dal fatto che un uomo come Giovanni Falcone, da sempre impegnato nella lotta contro la criminalità organizzato, potesse essere sostituito da altri per sporchi giochi di palazzo; Colui che con onore, prese il posto del magistrato Rocco Chinnici, tragicamente ucciso da Cosa Nostra nonché colonna portante della lotta contro la mafia siciliana; Colui che vide morire atrocemente i suoi fratelli ma che non vide morire mai un’idea: quell’idea potata avanti fieramente dal magistrato Antonino Caponnetto.
Se potessimo ancora parlargli, noi gioventù diremmo al nostro caro “Nonno Nino” che non è finito tutto e che non finirà mai finché le sue idee continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Perché noi gioventù glielo dobbiamo; Perché noi gioventù, figli della stessa bandiera amaramente martoriata ogni giorno, abbiamo il sacro dovere morale di continuare a scrivere la loro opera; Perché noi gioventù, abbiamo il dovere di dimostrare che uomini come loro non moriranno mai. “Si può uccidere un uomo, non le sue idee”. Perciò, caro Nonno Nino, non è finito tutto e non finirà mai. Grazie.
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